Commento su Giovanni 11,1-45
Il tempo di quaresima sta per compiersi; domenica prossima, domenica delle Palme, ascolteremo il lungo racconto della passione di Gesù, secondo la versione di Matteo, e daremo solenne avvio alla settimana santa. Auguro a tutti di poter celebrare le liturgie del Triduo Pasquale, per giungere ?caricati' alla veglia del sabato santo con il cuore pieno e la coscienza leggera... La profezia di Ezechiele - "Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi faccio uscire dalle vostre tombe, o popolo mio. (...) Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete..." - profuma già di risurrezione, e ci introduce al racconto dell'ultimo miracolo di Gesù, secondo la redazione di Giovanni: la risurrezione di Lazzaro. La vicenda è riportata solo dal quarto evangelista: intorno alla malattia e alla morte di Lazzaro si sviluppano due dialoghi: il primo fra Gesù e i discepoli, il secondo fra Gesù e le sorelle del morto, Marta e Maria. Il primo scaturisce dal comportamento del Signore quantomeno strano: il Maestro ama l'amico morto e tuttavia non corre a guarirlo prima che muoia. Il secondo dialogo prende le mosse dalla fede di Marta e Maria, una fede adulta, capace di superare lo sconcerto che nasce dall'apparente insensibilità di Gesù, ma che tuttavia manca ancora di un aspetto importante per potersi dire (fede) cristiana. L'episodio raccontato al capitolo 11 svolge un ruolo centrale nel quarto Vangelo, e fa da spartiacque tra la prima parte - la vita pubblica di Gesù - e la seconda - la cena di addio e la passione -. La risurrezione di Lazzaro prefigura la risurrezione di Cristo; il prodigio di Betania, che avrà un'eco straordinaria in tutta la Giudea, farà precipitare la vicenda di Gesù, convincendo le autorità che è necessario mettere a morte il Nazareno e i suoi testimoni - Lazzaro compreso -. Parlando con i Dodici, il Maestro di Nazareth dichiara che la malattia dell'amico non è per la morte, ma perché si manifesti la vittoria di Dio sulla morte. Richiamando Lazzaro in vita, Gesù manifesta nuovamente la sua gloria, una gloria che non è fine a se stessa, come poteva sembrare la trasfigurazione sul Tabor, ma è in funzione della nostra salvezza. Gli Apostoli non comprendono. Il tema dell'incomprensione è centrale anche nel quarto Vangelo. Sembra che lo scrittore ispirato lo faccia apposta ad alimentare nel lettore dubbi e perplessità: se Gesù amava così tanto Lazzaro, perché lo lascia morire, e soltanto dopo scende a Betania, sfidando i capi del popolo che già avevano tentato di ucciderlo? Questa domanda, non è solo dei Dodici, non è solo delle due sorelle; è la domanda dei parenti e amici della famiglia di Lazzaro che avevano vistoo il Signore piangere davanti al sepolcro dell'amico: "Ha aperto gli occhi ai ciechi; non poteva anche fare in modo che costui non morisse?". Con il suo comportamento in apparenza contraddittorio, Gesù vuole tuttavia insegnarci che la morte non è la prova che il Cielo ci ha abbandonati, ma rientra in un disegno di salvezza e di amore. Quello di Dio è un amore che va al di là del singolo uomo - Lazzaro -, e punta alla salvezza di tutti. Il racconto è pervaso da un'atmosfera di dolore e di paura, dolore e paura di fronte alla morte. Due sentimenti che il Signore conosceva bene e che avrebbe sperimentato in tono drammaticamente singolare pochi giorni dopo, nell'orto degli ulivi. Tuttavia, nel presente caso (Gesù) non resta prigioniero della paura e del dolore. Il Figlio di Dio comprende il significato della propria morte, di quella di Lazzaro e anche della nostra: è un segno di redenzione e di risurrezione; per questo chiama la morte dell'amico "sonno". "Tuo fratello risorgerà!", dichiara Gesù a Marta: e questa confessa la fede nella risurrezione dei morti, quella dell'ultimo giorno... Ma il Signore, con delicatezza, la corregge, rivelandole ciò che ancora le manca per dirsi veramente cristiana: la risurrezione passa attraverso la persona di Gesù - "Io sono la risurrezione e la vita!" -; La risurrezione è una realtà presente, non soltanto una promessa futura. Nella fede, è possibile risorgere già ora! Da quando il Figlio è venuto nel mondo, la Vita di Dio non è più al di fuori nella nostra realtà,. Si tratta di credere che, nonostante le apparenze, l'unica verità è la vittoria di Cristo sulla morte, cioè sulle nostre debolezze, sulla nostra incapacità di amare, sui nostri peccati. Gesù non dice soltanto "io sono la vita", ma anche "(io sono) la risurrezione!": vi è in questo l'idea del passaggio, del mutamento radicale; (l'idea) di una conversione espressa in termini radicali e precisi: dall'impotenza assoluta secondo la carne, alla fede certa nella vittoria sulla morte. La vita non è annientata dalla morte, anzi, (la vita) si serve addirittura della morte per rinascere più forte - immortale -. Concludo richiamando un ultimo fatto importante: Gesù attira l'attenzione sul Padre che ha ascoltato la sua preghiera, che sempre lo ascolta. Tutto si svolge in un clima di intensa e profonda preghiera: la salvezza è sempre un dono celeste; ecco la lezione!
Fonte : www.lachiesa.it
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