Introduzione Come si può parlare di Dio? Come può l’uomo, un essere di natura infinitamente fragile, tentare di parlare di Dio? Forse, per meglio rendere, l’idea della inadeguatezza di qualsiasi ragionamento umano sul nostro Creatore sarà bene raccontare una storia. Un giorno Sant’Agostino passeggiava su una spiaggia cercando di penetrare con il suo acume il mistero della Santissima Trinità. Mentre era immerso in queste meditazioni, vide un bambino che con una conchiglia prendeva l’acqua del mare e la versava in una piccola buca. Incuriosito il santo lo interrogò chiedendogli cosa stesse facendo. "Voglio mettere il mare dentro la buca" rispose il piccolo. Sant’Agostino, con parole semplici cercò di spiegare al bambino che questo era impossibile. Allora il piccolo aggiunse : "Prima che tu comprenda il mistero della Santissima Trinità io avrò messo tutto il mare nella buca". Detto questo il bimbo disparve.
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E’ solo un aneddoto che ci da un’idea, se pur pallida, di quanto e quale abissale differenza vi sia tra l’uomo e Dio. Partendo da questa storiella possiamo dire che è meglio accostarsi al mistero di Dio così come ce l’ha rivelato Nostro Signore Gesù. Egli infatti ci ha detto:
"chi vede me, vede colui che mi ha mandato" (Gv 12, 45)
"Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Gli disse Filippo: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gli rispose Gesù: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?" (Gv 12,7-9).
Inoltre Gesù ci fa accostare al mistero di Dio concedendoci di chiamarlo Padre. Se a Mosè, il suo prediletto, Dio stesso si rivelo come :
"Mosè disse a Dio: «Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?».
Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi»." Es 3, 13-14
Gesù ci mostra tutto un’ altro aspetto di Dio. Alla domanda insistente dei suoi discepoli "Insegnaci a pregare" Gesù risponde con una pedagogia tutta divina, non solo li esorta ad una preghiera fatta con cuore puro, sunto e simbolo della nuova alleanza, ma indica il destinatario chiamandolo Padre e non solo Padre, ma "Padre Nostro" cioè di tutti color che credono.
Era abbastanza diffusa, nei popoli antichi l’idea che Dio fosse Padre e creatore della umanità, ma questo non era lo stesso per il popolo ebraico, almeno non era del tutto vero. Nella Bibbia ebraica Dio è chiamato Padre soltanto 14 volte. Esistono altri esempi biblici di come Dio venga invocato come Padre (Salmo 89.26; Isaia 63.16; Geremia 3.4,19), ed anche nei tempi antecedenti l’avvento di Gesù, anche se con qualche riluttanza, esistono preghiere che indicano Dio come padre, ma sono sempre invocazioni comunitarie. Soltanto Gesù si è rivolto a Dio chiamando "Padre Mio" ed ancora di più Lui usa il termine aramaico di Abbà termine confidenziale che usavano i figli talvolta adulti rivolgendosi al proprio padre. Questa approccio confidenziale di Gesù nel suo rapporto con Dio non lo vuole tenere nascosto, ma lo vuole comunicare a tutti coloro che abbracciano la Buona Novella. Nella preghiera del Padre Nostro, Gesù invita i suoi discepoli ad invocare Dio come Padre, con la stessa confidenza.
La comunità primitiva dei Cristiani era consapevole della grandezza di questo dono di Dio. E’ ben chiaro nella lettera scritta da San Paolo ai romani 8, 14-15
"E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio. "
I Galati 4,6 leggiamo : "E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: "Abbà, Padre"."
Proprio per questo le antiche liturgie
cristiane usavano premettere alla preghiera del Signore "Noi osiamo dire
Padre Nostro".
L’autorizzazione di Gesù ad invocare Dio come Padre garantisce loro l’appartenenza
al popolo di Dio e li rende partecipi dei suoi privilegi di figlio.
Gesù svela agli uomini il Padre, il Dio d’amore e di misericordia. Nel confronto con l’Antico Testamento, la riflessione della Chiesa delle origini ha colto con immediatezza questa novità dell’Annuncio. Ecco alcuni brani tratti da opere dei Padri della Chiesa.
L’invocazione al Padre
«Padre Nostro: questo nome suscita in noi, contemporaneamente, l’amore, il fervore nella preghiera e anche la speranza di ottenere ciò che stiamo per chiedere. Che cosa infatti può Dio negare alla preghiera dei suoi figli, dal momento che ha loro concesso, prima di tutto, di essere suoi figli». Agostino d’Ippona>
Il lato vulnerabile
"Dio ha un solo debole, una sola passione: amare i suoi figli". Origene
Amore in tutto
«Dio è amore e lo è in tutto. Questa verità creduta interamente riesce a trasformare la nostra vita». Agostino d’Ippona
Il nome rivelato
"L’espressione "Dio Padre" non era mai stata rivelata a nessuno. Quando lo stesso Mosè chiese a Dio chi fosse, si sentì rispondere un altro nome. A noi questo nome è stato rivelato nel Figlio". Tertulliano
Il privilegio dei figli
«Certo nella realtà della sua grandezza e della sua gloria ineffabile nessuno potrà vedere Dio e vivere (cf es 33, 20). Il Padre, infatti, è inaccessibile. Ma nel suo amore, nella sua bontà e nella sua potenza è giunto fino a concedere a coloro che lo amano il privilegio di poterlo vedere. Ed è proprio questo che annunziavano i profeti, poiché "ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio" (Lc 18,27). L’uomo infatti con le sue sole forze non può vedere Dio. Ma se Dio lo vuole, nell’abisso della sua volontà, si lascia vedere da chi vuole, quando vuole e come vuole». Ireneo di Lione
Finalmente l’adozione
«Nell’Antico Testamento in nessuna preghiera Dio è invocato come Padre secondo l’espressione piena di confidenza che il Signore ci ha tramandato (...) La pienezza dei tempi è giunta con l’Incarnazione di nostro Signor Gesù Cristo, quando gli uomini di buon volere ricevono finalmente l’adozione, così come insegna San Paolo: "Voi non avete ricevuto uno spirito di servitù per ricadere nel timore, ma lo spirito di adozione ci fa gridare: Abbà, Padre" (Rm 8,15)». Origene
E’ tempo di misericordia
«Guarda le cose in Dio, per potere anche tu, nei limiti che egli vorrà donarti, imitare il padre celeste. Non è una pretesa superba dire che dobbiamo imitare il nostro Padre. Nostro Signore, Figlio unico di Dio, ci ha rivolto questo invito quando diceva: Siate come il vostro Padre celeste" E quando spronava ad amare i nemici e a pregare per i persecutori, soggiungeva: "Affinché siate figli del vostro Padre celeste, il quale fa sorgere il sole sui buoni e sui cattivi e manda la pioggia ai giusti e agli ingiusti"(Mt 5, 48.44-45). Ecco la misericordia. Quando vedi i buoni e i cattivi mirare lo stesso sole, godersi la stessa luce, bere alle stesse fonti, ristorarsi per la stessa pioggia, raccogliere in abbondanza gli stessi frutti della terra, respirare la stessa aria e possedere senza distinzione i beni di questo mondo, non accusare Dio d’ingiustizia perché con egual misura egli distribuisce di questi beni ai giusti e ai peccatori. E’ tempo di misericordia non ancora tempo di giudizio. Se infatti Dio non fosse intervenuto una prima volta a perdonare usando misericordia, non avrebbe chi poter coronare nel giudizio. E’ quindi tempo di misericordia finchè la longanimità di Dio continua a sospingere i peccatori al ravvedimento». Agostino d’Ippona
Un solo Dio, Padre di tutti
Non ci invita a dire: Padre mio che sei nei cieli; ma "Padre nostro", facendo così suppliche per il corpo comune della Chiesa e non considerando soltanto il proprio vantaggio particolare ma l’interesse di tutti, dovunque. In questa maniera toglie di mezzo anche l’inimicizia, reprime l’orgoglio, elimina l’invidia, introduce nelle anime la carità, madre di tutti i beni; distrugge, inoltre, tutte le disuguaglianze umane, di stato e di condizione, e dimostra l’eguale dignità del re e del povero, dal momento che noi ci ritroviamo tutti uniti nelle cose più importanti e necessarie, in quelle cioè che concernono la nostra comune salvezza. Quale danno, quindi può derivare a noi dalla nostra nascita terrena, se siamo tutti congiunti dalla comune origine divina, senza che nessuno abbia il minimo vantaggio sull’altro, né il ricco sul povero, né il padrone sul servo, né il principe sul suddito, né il comandante sul soldato, né il filosofo sul barbaro, né il sapiente sull’ignorante? A tutti, infatti, è stata elargita un’identica nobiltà, quando Dio si è degnato di farsi chiamare da tutti, ugualmente "Padre". Giovanni Crisostomo
Ogni giorno, in qualsiasi ora, perciò, tornando ai piedi del Signore facciamo nostra la domanda del discepolo: "Signore, insegnaci a pregare!"
E Gesù, quale maestro di preghiera, risponderà: "Quando pregate, dite così: Abbà, Padre". Non è una semplice esortazione. E' molto di più. Con queste parole Gesù ci rende partecipi, come fece con i discepoli, del suo stesso rapporto con il Padre. Nella preghiera, pertanto, prima ancora delle parole occorre credere con tutte le proprie forze di essere figli del Padre che sta nei cieli. E pregare quindi è anzitutto un modo di essere: ossia figli che si rivolgono con fiducia al Padre, certi che li ascolterà.