Caro Tommaso, fa strano scriverti una lettera, ma ho deciso, dopo tanti anni, di schierarmi formalmente e solennemente dalla tua parte. Sono stufo di vederti descritto come un incredulo. Su te abbiamo addirittura composto un proverbio: "Tommaso, che non ci crede se non ci mette il naso", e, così, sei arrivato fino a noi con la falsa nomea di incredulo.
Eppure, Tommaso, leggendo bene il racconto di Giovanni, si capisce subito che tu al Rabbì ci avevi creduto, fin troppo, più degli altri. D'altronde, le uniche due volte in cui si parla di te nel Vangelo, hai dimostrato fegato ed entusiasmo. Tutti voi, Tommaso, eravate impreparati, straniti, distratti. La croce vi era piombata addosso come un treno in corsa, vi aveva spezzato l'anima, aveva travolto tutto.
Sai, Tommaso, mi sono riconosciuto molte volte in te: ti ho visto nel volto di molti fratelli scoraggiati e delusi dopo aver dato l'anima per un sogno, un progetto. E ti vedo - sbalordito, attonito - che ascolti i tuoi compagni. Le tue ferite interiori sanguinano copiosamente e questi - gioiosi - ti raccontano di averlo visto vivo, risorto. Non sai capacitarti di quello che dicono, e soprattutto, di chi te lo dice.
Sai, Tommaso, hai ragione. Incontro spesso cristiani come te, feriti dalla pessima testimonianza di noi discepoli, scandalizzati dal baratro che mettiamo tra la nostra fede e la nostra vita, increduli a causa della nostra piccolezza. Noi, discepoli del Maestro, che invece di essere trasparenza del Risorto, diventiamo filtro e facciamo emergere le nostre fragilità, piuttosto che la luce luminosa che ci ha avvolti e cambiati.
Quanti ne conosco come te, Tommaso! Brava gente scossa dall'atteggiamento di un prete despota, i giovani turbati dalle nostre comunità fiacche, cercatori di Dio scoraggiati dal nostro poco entusiasmo... Ma, e questo è stupefacente, Giovanni ci dice che otto giorni dopo eri ancora con loro. Non li hai mollati come a volte vedo fare, non ti sei sentito superiore, migliore, a parte. Hai voluto condividere la tua amarezza con loro, non hai pensato di fare una Chiesa alternativa. Come frate Francesco poverello farà, hai voluto convertire la Chiesa dal di dentro, senza uscirne. E hai fatto benissimo: apposta per te è venuto il Maestro; vedi come ti ama? Ti mostra le sue piaghe, il costato, poi sorride e ti parla. Le sue parole sono un immenso gesto d'amore. Mostrando le palme delle mani trafitte, ti sussurra: "Tommaso, so che hai sofferto tanto. Guarda: anch'io ho sofferto...". E ti sei arreso, finalmente. Hai lasciato la diga del pianto rompere gli argini, ti sei lasciato travolgere dall'amore e dalla fede, ti sei buttato in ginocchio e tu, primo tra i dodici, hai osato dire ciò che nessuno prima aveva osato neppure pensare: Gesù è Dio.
Senti, Tommaso, io ti voglio un sacco di bene e ti ringrazio per la tua fede cristallina. Voglio affidarti, caro mio gemello, tutti quelli che - come te - non si sono ancora arresi al Signore. E anche gli scandalizzati da noi cristiani: che guardino a Cristo piuttosto che ai suoi fragili discepoli
don Tonino Bello