Il Regno è della croce
Più che meritato il plauso della gente verso Gesù, man mano che percorre le strade di Gerusalemme dopo avervi fatto ingresso trionfale. Il suo incedere ricalca quello dei monarchi che percorrevano le principali strade cavalcando un asino o una mula (Ratzinger) e che lui sia il vero re dei Giudei lo ha dimostrato in precedenza per mezzo di insegnamenti e fatti accreditati come miracolosi e unici. La parola proferita dal monte intorno alle Beatitudini, le parabole, i paradigmi e gli insegnamenti di sapienza, accompagnati dalle opere che ne esaltavano il significato, hanno sempre fatto pedagogia della sua vera identità regale. Egli è davvero il Figlio di Dio e il re dei Giudei, imperatore dell'universo e come tale merita di essere accolto. Ciò nonostante, essere re in Gesù non si evince da fatti sensazionalistici di esaltazione, ma dal suo instancabile servizio umile e disinteressato verso il prossimo, dalle sue opere di misericordia e dalla compassione rivolta verso il misero e il derelitto. Ma sarà soprattutto la croce ad esaltare quella regalità ineffabile confusa da certuni con la debolezza e l'impassibilità. Il luogo nel quale volentieri si sottomette alla crudeltà accettata risolutamente, per rivelare la verità nell'amore (Bultmann) e nella quale per l'appunto da' la dimostrazione estrema che regnare equivale a servire e ad amare. Durante il percorso verso il Calvario, Gesù non ha solo recato la sua croce sulle spalle, ma anche la croce "per sé", quella cioè scelta deliberatamente e senza condizioni perché quello è sarà l'unico mezzo per espiare i peccati degli uomini e per guadagnare a tutti la salvezza; non si comporta come un condannato a morte rassegnato, ma come chi non ha voluto sottrarsi al sacrificio, ben consapevole che pur costandogli questo era necessario. Lo dice San Tommaso d'Aquino, il quale aggiunge che Gesù "portò la croce come un re il suo scettro, come segno della sua gloria, della sua sovranità universale su tutti. Un regno quello di Gesù che si allontana dagli attributi di questo mondo, che non si conforma al potere e al dominio con cui si impostano parecchi regimi di questa terra e soprattutto che non è interessato e ambizioso. E' un regno che si identifica innanzitutto con l'umiltà, con l'asservimento che sono indispensabili ad affrontare qualsiasi prova e qualsiasi sacrificio. E qualsiasi sacrificio è indispensabile perché si realizzi l'amore. Nella croce c'è tutta l'umiltà di Dio che dona se stesso nel suo Figlio Gesù Cristo e questa comporta l'amore supremo per tutti. Amore che valica le aspettative di coloro che vorrebbero che Gesù scendesse dalla croce, che pretenderebbero un'affermazione dirompente e categorica del dominio del Signore; vorrebbero che egli si imponesse anziché subire. Quando Gesù sarà morto, i discepoli, che ancora non avevano capito la profondità del mistero di Gesù Messia, crederanno a una sua sconfitta: Gesù è morto, la sua missione è fallita. Sarà grazie allo Spirito Santo che successivamente comprenderanno che la vera vittoria e il vero dominio sono quello del passaggio dalla morte alla resurrezione, nel quale tutti siamo avvinti e coinvolti. Nella morte otteniamo la salvezza, il riscatto dei peccati; con la resurrezione avremo la vita per sempre. In forza di questo amore umile e disinteressato è necessario restare appeso alla croce perché solo così l'uomo può essere salvato. E avere la vita e la verità. Nella croce c'è tutta la regalità, che non è altro che la manifestazione stessa dell'amore libero, supremo e incondizionato. Le palme intrecciate e decorate che ostentiamo oggi all'aspersione dell'acqua benedetta ci rammentano l'esaltazione che dobbiamo a Gesù come Signore, effettivamente vero re e Signore. I ramoscelli di ulivo che affiniamo ad essi ci evincono che questo suo regnare ha comportato fatica, dolore, smarrimento e anche solitudine nell'orto degli ulivi, dove la preghiera faceva a pugni con la paura: "Allontana da me questo calice. Però sia fatta la tua, non la mia volontà"(Lc 22, 42). In quest'ultima espressione vi è una duplice volontà: quella umana e quella divina. La prima affronta lo spavento della sofferenza e della morte, senza tuttavia soccombere ad esso, ma trovando nella fede la soluzione al problema: sia fatta la tua volontà anche se io come uomo preferirei diversamente. La volontà divina è quella che coincide con il volere salvifico del Padre e che sin dall'eternità Gesù (quale Verbo eterno) con il Padre ha sempre condiviso e ribadisce tuttora: mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e terminare la sua opera (Gv 4, 34), cioè realizzare il suo piano di salvezza eterna. Si tratta di due volontà che in altre situazioni contrasterebbero, ma che adesso sono in perfetta simbiosi.
Fonte : www.lachiesa.it
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